Archivi categoria: DRUIDISMO

I LIBRI DI SILVANO DANESI SUL DRUIDISMO

I Druidi custodi della Dea

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I Druidi e l’etica

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La via druidica 1° volume

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Il druidismo è una via filosofica fondata sulla libertà come valore essenziale; è una via spirituale e conseguentemente libera per accedere alla Conoscenza.

Nel druidismo non ci sono dogmi e verità rivelate; c’è la ricerca in merito alle leggi della Natura, ai comportamenti degli uomini, alla Sapienza del divino, intesa come punto limite della Conoscenza.

I libri di Silvano Danesi, “La via druidica” (1° e 2° volume), sono un’interessante opportunità per accostarsi da vicino all’antica sapienzialità dei Druidi e per ritrovare le radici d’Europa.

“La via druidica” presenta i principi essenziali della tradizione druidica, recuperando una filosofia di vita attuale e idonea ad accompagnare l’essere umano sulla via che lo porta a conoscere se stesso e, conseguentemente, il significato del proprio vivere e del proprio agire.

Dal deposito sapienziale antico il moderno druidismo, senza scostarsi dai principi fondamentali, può distillare ciò che di essenziale la tradizione ci tramanda e da questo distillato può trarre indicazioni moderne valide per il cammino attuale dell’essere umano.

Una considerazione va fatta in merito ai linguaggi enigmatici degli antichi, che una malintesa interpretazione vorrebbe adottati per occultare conoscenze riservate a pochi. La trasmissione di una conoscenza con il linguaggio logico sequenziale al quale siamo abituati la contestualizza e la data, necessariamente, incardinandola nella forma mentis del tempo. Il linguaggio enigmatico, simbolico, archetipico per sua natura va interpretato, ovvero contiene un nucleo essenziale di conoscenza che deve essere decodificato. Chi decodifica lo fa con gli strumenti del suo tempo e, conseguentemente, resuscita e attualizza l’antico nucleo di conoscenza rendendolo idoneo, efficiente ed efficace nell’attualità.

Distillare simboli, archetipi, enigmi della tradizione druidica, evidenziandone il nucleo essenziale, svolgere il codice attualizzandolo è un’opportunità che possiamo cogliere e un lavoro che possiamo intraprendere.

La via druidica 2° volume

Il druidismo è una via filosofica fondata sulla libertà come valore essenziale; è una via spirituale e conseguentemente libera per accedere alla Conoscenza.

Nel druidismo non ci sono dogmi e verità rivelate; c’è la ricerca in merito alle leggi della Natura, ai comportamenti degli uomini, alla Sapienza del divino, intesa come punto limite della Conoscenza.

I libri di Silvano Danesi, “La via druidica” (1° e 2° volume), sono un’interessante opportunità per accostarsi da vicino all’antica sapienzialità dei Druidi e per ritrovare le radici d’Europa.

“La via druidica” presenta i principi essenziali della tradizione druidica, recuperando una filosofia di vita attuale e idonea ad accompagnare l’essere umano sulla via che lo porta a conoscere se stesso e, conseguentemente, il significato del proprio vivere e del proprio agire.

Dal deposito sapienziale antico il moderno druidismo, senza scostarsi dai principi fondamentali, può distillare ciò che di essenziale la tradizione ci tramanda e da questo distillato può trarre indicazioni moderne valide per il cammino attuale dell’essere umano.

Una considerazione va fatta in merito ai linguaggi enigmatici degli antichi, che una malintesa interpretazione vorrebbe adottati per occultare conoscenze riservate a pochi. La trasmissione di una conoscenza con il linguaggio logico sequenziale al quale siamo abituati la contestualizza e la data, necessariamente, incardinandola nella forma mentis del tempo. Il linguaggio enigmatico, simbolico, archetipico per sua natura va interpretato, ovvero contiene un nucleo essenziale di conoscenza che deve essere decodificato. Chi decodifica lo fa con gli strumenti del suo tempo e, conseguentemente, resuscita e attualizza l’antico nucleo di conoscenza rendendolo idoneo, efficiente ed efficace nell’attualità.

Distillare simboli, archetipi, enigmi della tradizione druidica, evidenziandone il nucleo essenziale, svolgere il codice attualizzandolo è un’opportunità che possiamo cogliere e un lavoro che possiamo intraprendere.

Tu sei Pietra

http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/39866/tu-sei-pietra/ L’interrogativo di fondo del libro Tu sei Pietra di Silvano Danesi riguarda un’antichissima tradizione iniziatica, che ha le sue radici alle origini della storia dell’uomo e che pare essere giunta fino a noi, anche se criptata; una tradizione che a volte è sembrata essere inghiottita nei periodi oscuri dell’intolleranza e dell’ignoranza, contrabbandate per fede, o cancellata dalle orde dei barbari invasori o, ancora, dispersa ai quattro angoli del mondo. E’ possibile trovarne le tracce? E’ possibile, seguendo queste tracce, ricomporre l’unità perduta? E’ possibile, in altri termini, che l’Antica Religione della Dea Madre (dominante nella coscienza collettiva dell’Europa del Neolitico) e del Dio Cornuto (il Kernunnos, presente nell’Età del Bronzo e le cui radici risalgono al Paleolitico), sia giunta sino a noi, viva e praticata, sotto mentite spoglie, per l’opera di un nucleo di iniziati che l’ha trasmessa attraverso una catena iniziatica ininterrotta? Proviamo a pensare che sia possibile e avviamoci sui sentieri della Cerca, dove incontreremo i Baschi, i Druidi, i Templari, il Priorato di Sion, grandi personaggi della storia, come Abelardo e Bernardo di Chiaravalle… e molto altro ancora.

Le radici scozzesi della Massoneria

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I MISTERI DI CERIDWEN

I Misteri di Ceridwen, la grande iniziatrice che dà la Sapienza, segnalati da Artemidoro, sono storicamente attestati e Jean Raimond ricorda come siano simili a quelli di Cerere, i quali, trasformati dal bardismo, “conservano ancora i loro fedeli nel periodo di Taliesin (VI secolo)”.[1]

Una testimonianza della continuità della frequentazione dei Misteri di Ceridwen nel XII secolo ci è data nei canti di Hoël.

“Il re, esso stesso – scrive in proposito Jean Raimond -, come si vede nei canti di Hoël o Hywell, re del Galles, morto nel 1171, era onorato di esservi ammesso. Esiste una sua preghiera curiosa, nella quale, ammesso già ai gradi inferiori dell’iniziazione, sollecita al Collegio di Ceridwen, con espressioni di fervente pietà, il favore dell’iniziazione superiore”. [2]

In ambito celtico è il Rito di Karidwen (Ceridwen) che fa del nano Gwyon Bach il Grande Iniziato Taliesin, “fronte luminosa”, bardo primordiale.

Ceridwen o Karidwen è la Minerva gallica, ed è colei che dà la sapienza; riassume in sé anche Cibele, Diana e Proserpina e può essere considerata come simile a Iside; è, in buona sostanza, la Dèa Madre ed è legata a Gwyon (Gwyddyon o Gwyddon), il dio dello Spirito che ha insegnato agli uomini l’arte divina della poesia.

Nel mito di Karidwen e di Gwyon Bach, che sottende un rito di iniziazione, il nano è messo a guardia di un calderone nel quale bolle una pozione che darà la Sapienza al figlio della Dea. Il nano, nel cui nome è racchiuso quello del dio Gwyon, fa traballare il calderone dal quale escono tre gocce che si posano sul suo pollice. Il nano  succhia il pollice (come farebbe un bambino) e acquisisce la Sapienza. Il resto della pozione diventa inutilizzabile. La Sapienza è stata ormai trasferita. La Dea è infuriata e insegue il nano per punirlo e Gwyon Bach si trasforma in un uccello (aria), in un pesce (acqua) e in una lepre (terra), inseguito dalla Dea che a sua volta si trasforma nel corrispondente animale predatore. Infine il nano si trasforma in un chicco di grano (il colore dorato ricorda il sole e il fuoco) e la Dea in una gallina nera che inghiotte il chicco e rimane gravida. Nascerà così Taliesin, “fronte luminosa”, il grande bardo primordiale, associato al Dio cervo, al Dio Cornuto.

La leggenda che ne narra il passaggio di stato, dall’essere il nano Gwyon Bach ad essere Taliesin, fronte d’argento, fronte luminosa (ossia illuminato), testimonia di un percorso iniziatico.

Gwyon, ci ricorda Panchaud[3] significa “Padre degli uomini”. “ I simboli del suo culto lo rivelano – aggiunge Panchaud – sotto il carattere di Mercurio-Hermes, dio del commercio e di tutte le relazioni sociali e d’un Apollo, in quanto dio della poesia, del sapere e della luce intellettuale; laddove Bel-Heol o Hélian non è che il dio della luce e del calore fisici. E’ ancora a Gwyion…. che si attribuisce l’invenzione della scrittura. E’ anche un Prometeo rivelatore e un mediatore tra Dio e l’uomo”. [4]

Il determinativo Bach, dal significato di piccolo, secondo Mac Bain (dizionario) potrebbe anche ricondurre, con il significato di ubriaco, a Bacco (in assonanza con i riti eleusini).  Il piccolo Gwyon, appartenente alla stirpe degli dèi, viene sottoposto ad una serie di prove dalla Dea Ceridwen, alla fine delle quali si incarna in un uomo-dio. Un uomo-dio che è Verbo.

Taliesin, nel venire al mondo come bambino, dopo essere stato partorito da Ceridwen, intona un gwuawd, un canto di lode. Di fronte a lui i bardi rimangono senza voce. Il suo equivalente irlandese è Fintan Bóchra, il fuoco brillante della parola.

(Da: Silvano Danesi, Le radici scozzesi della Massoneria, Ilmiolibro.)

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[1] Jean Raimond,  L’ésprite de la Gaule, Firne, Paris, 1864

[2] Jean Raimond,  L’ésprite de la Gaule, Firne, Paris, 1864

[3] Edward Panchaud, Le druidisme; ou, Religion des anciens Gaulois, Losanna 1865

[4] Edward Panchaud, Le druidisme; ou, Religion des anciens Gaulois, Losanna 1865

IL DRUIDISMO E’CULTO UFFICIALE IN INGHILTERRA

In Inghilterra la “Charity Commission” britannica, l’ente governativo incaricato di regolare tutte le pratiche religiose nel Regno Unito, ha stabilito che il Druidismo può aspirare allo status di vera e propria religione.

Dopo un’indagine durata quattro anni, la Charity Commission ha concluso che il druidismo fornisce un insieme di pratiche coerenti e strutturate per l’adorazione di un essere supremo e che queste sortiscono un impatto morale benefico sulla comunità dei fedeli.

DRUIDISMO, VIA SPIRITUALE BASATA SULLA LIBERTA’

Il druidismo è una via fondata sulla libertà come valore essenziale; è una via spirituale per accedere alla Conoscenza.

Nel druidismo non ci sono dogmi e verità rivelate; c’è la ricerca in merito alle leggi della Natura, ai comportamenti degli uomini, alla Sapienza del divino.

Dal deposito sapienziale antico, il moderno druidismo, senza scostarsi dai principi fondamentali, può distillare ciò che di essenziale la tradizione ci tramanda e da questo distillato può trarre indicazioni moderne valide per il cammino attuale dell’essere umano.

Una considerazione va fatta in merito ai linguaggi enigmatici degli antichi, che una malintesa interpretazione vorrebbe adottati per occultare conoscenze riservate a pochi. La trasmissione di una conoscenza con il linguaggio logico sequenziale al quale siamo abituati la contestualizza e la data, necessariamente, incardinandola nella forma mentis del tempo. Il linguaggio enigmatico, simbolico, archetipico per sua natura va interpretato, ovvero contiene un nucleo essenziale di conoscenza che deve essere decodificato. Chi decodifica lo fa con gli strumenti del suo tempo e, conseguentemente, resuscita e attualizza quell’antico nucleo di conoscenza rendendolo idoneo, efficiente ed efficace nell’attualità.

Distillare simboli, archetipi, enigmi della tradizione druidica, evidenziandone il nucleo essenziale, svolgere il codice attualizzandolo è un’opportunità che possiamo cogliere e un lavoro che possiamo intraprendere.

Vediamo ora, in una breve sintesi, quale è quella che ci viene offerta dagli studi di un grande celtista com’è Jean Markale, le linee principali delle concezioni druidiche relative ai modelli concettuali dei Druidi.

Il pensiero druidico, secondo Jean Markale, è vicino a quello di Eraclito[1], laddove la natura e l’universo sono regolati dal Logos, dove parola, ragione, meglio, relazione, sono verità e sinonimo di divinità.

Il Logos eracliteo è l’ordine universale espresso e riversato nella molteplicità del divenire, è il ritmo dell’universo, è la legge universale che opera nel mondo, una legge divina che guida magistralmente il mondo, una mente che muove il cosmo attraverso il cosmo stesso: “Una è la sapienza, conoscere la mente che per il mare del Tutto ha segnato la rotta del Tutto” (FR 13 Diano).

Per i Druidi, scrive Jean Markale, la creazione è continua e perpetua e Dio non è, ma diviene. [2]

“Per i Druidi e per i Bramini, il principio donatore della vita e alla base del potere era la parola di verità, causa ultima di tutti gli esseri”. [3] I Druidi veneravano pertanto il potere della parola, che era munita di forza e di vitalità. Attraverso la verità, dicevano, “la terra perdura”. La Verità era la Parola e la Parola sacra e divina non doveva essere profanata. [4]

“Per il poco che si può sapere, – scrive Markale – la dottrina druidica insisteva sulla tenebrosa e profonda unità esistente tra gli esseri e le cose, tra le creature e il creatore, tra la materia e lo spirito. Conseguentemente, il mondo per i Celti, il mondo visibile e apparente, che è il mondo dei viventi, era esattamente identico all’altro mondo, il mondo degli dèi, degli eroi e dei defunti”.[5]

“L’uomo – scrive ancora Markale riferendosi alle concezioni druidiche del mondo – non è rinchiuso nella materia, ma si espande in essa, perché il mondo è in perpetuo divenire. Il ché esclude ogni idea di caduta, di un Satana, spirito del male, che avrebbe creato un mondo imperfetto caricatura dell’opera di Dio. Satana non è celtico, è persiano. E se i cristiani gli hanno dato la parvenza e gli attributi del dio gallico Cernunnos, il dio cornuto, è perché non riuscivano a sbarazzarsi di questo ingombrante personaggio, espressione di forza e di fecondità. E se non c’è Satana, non c’è neppure un problema del male metafisico. Il male era semplicemente l’imperfezione degli esseri, imperfezione normale in un’evoluzione perenne: era piuttosto il «perfetto», cioè il «compiuto», a equivalere al nulla. Conseguentemente, il male in tutte le sue forme (ingiustizie, violenze, malattie, sofferenze) non era che una serie di incidenti di percorso necessari per pervenire a uno stato superiore”. [6]

“I Celti, piuttosto che considerare la vita come un castigo, ne facevano l’humus per l’evoluzione individuale”.[7] Da qui l’esaltazione “del mondo intero come divino in tutte le sue manifestazioni e da considerare «strumento di perfezione». A questo punto anche la morale diventava soltanto una serie di regole, atte a orientare verso la migliore soluzione possibile”.[8]

Nella dottrina druidica “si assisteva ad una sublimazione della natura in quanto manifestazione divina. Era grazie ad essa che si comunicava con Dio. Ma la natura non consisteva solamente nelle montagne, nei fiumi, nelle foreste, era anche l’essere umano nella sua dimensione corporea. La carne non era maledetta, bensì esaltata allo stesso modo dello spirito, poiché in definitiva corpo e anima non erano che le due facce della medesima realtà. Non esisteva conseguentemente alcuna interdizione sessuale. Le proibizioni erano invece di natura magica, con riferimento a una visione globale dei rapporti tra l’individuo e il mondo circostante, senza alcuna connotazione moralistica”. [9]

Non c’era un dio primordiale. “Dio era il compimento dell’azione collettiva di tutti gli esseri e questi esseri provenivano semplicemente da un Dio «tutto» solo in potenza”.[10] Potenza, flaith in irlandese, è il fondamento naturale di tutte le cose.

Questa l’idea dell’universo concettuale dei Druidi riguardo al divino, all’uomo, alla natura così come esce dagli studi di alcuni celtisti.

Approfondiremo ogni singolo aspetto in articoli successivi, basandoci su fonti antiche e sulla vasta letteratura a disposizione.

[1] Jean Markale, Il Druidismo, Mediterranee

[2] Jean Markale, Il Druidismo, Mediterranee

[3] Peter Berresford Ellis, Il segreto dei Druidi – Piemme

[4] Peter Berresford Ellis, Il segreto dei Druidi – Piemme

[5] Jean Markale, L’enigma dei Catari, Sperling

[6] Jean Markale, L’enigma dei Catari, Sperling

[7] Jean Markale, L’enigma dei Catari, Sperling

[8] Jean Markale, L’enigma dei Catari, Sperling

[9] Jean Markale, L’enigma dei Catari, Sperling

[10] Jean Markale, L’enigma dei Catari, Sperling

BARDDAS, ORA ANCHE IN ITALIANO

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Barddas, raccolta di Triadi Bardiche, molte delle quali riprese da una collezione di manoscritti di Llywelyn Sion, bardo di Glamorgan (società bardica fondata nel 1300 da Trahaearn-Bryddyd-Mawr), redatti intorno al 1560 e pubblicati da Iolo Morganwg nel 1794, è stata ed è oggetto di un dibattito tra gli storici e i cultori del druidismo, che si dividono in relazione alla datazione e all’autenticità. Nella raccolta coesistono testi di origine antica, che rivelano evidenti influssi della filosofia greca, e testi evidentemente cristiani.

Il volume dal titolo Barddas, con la traduzione in inglese e il commento del reverendo J.Williams Ab Ithel, M.A., è stato pubblicato a Londra nel 1862 da D.J. Roderic Longman & Co.

Il pubblico italiano e, soprattutto, i cultori italiani del druidismo, non avevano, sino ad ora, a disposizione una traduzione dei testi raccolti da Iolo Moragnwg. La lacuna è stata colmata. Nel 2015, infatti, Barddas è stato tradotto in italiano da Enrico Selleri per conto del Collegio druidico nazionale, guidato da Alessandro Topi, ed edito da Anguana Edizioni.

La meritoria operazione editoriale, consente ora, anche in Italia, lo studio e l’analisi dei testi da parte di un vasto pubblico, contribuendo così alla diffusione della tradizione druidica e, nel contempo, ad un’obbiettiva valutazione di quanto possa considerarsi originale e di quanto sia invece frutto di interpolazione di copisti e, ancora, di manipolazioni per adattare l’antica teologia druidica a quella cristiana.

I DRUIDI E LA TRADIZIONE PRIMORDIALE

In un articolo pubblicato su: Le Voile d’Isis (1929), René Guénon, affrontando il tema della Tradizione primordiale, afferma che l’origine delle tradizioni è il polo e “il polo –scrive – a quanto si sa, non è occidentale più di quanto non sia orientale” e aggiunge: “consideriamo nordica l’origine delle tradizioni, anzi, più precisamente polare, poiché questo dicono espressamente i Vêda, al pari di altri libri sacri”. [i]

Nel suo “Il Re del Mondo”, Guénon precisa:”Bisogna distinguere la Tula atlantidea [luogo d’origine dei Toltechi, probabilmente situata nell’Atlantide settentrionale ndr] dalla Tula iperborea, ed è quest’ultima che, in realtà,  rappresenta il centro primo e supremo per l’intero Manvantara [ciclo cosmico, ndr] attuale; essa fu l’«isola sacra» per eccellenza, e … la sua ubicazione, in origine, era veramente polare. Tutte le altre «isole sacre», che sono designate dovunque con nomi dal significato identico, non furono che sue immagini; così è anche per il centro spirituale della tradizione atlantidea, che regge solo un ciclo storico secondario, subordinato al Manvantara”. [ii]

Tulâ, in sanscrito, significa bilancia e la bilancia era in origine l’Orsa Maggiore (l’Orsa maggiore e l’Orsa minore, sede dell’attuale stella polare, erano considerate come i due piatti della bilancia).[iii]

René Guenon riteneva, scrive Joscelyn Godwin, “che i Celti avessero preservato qualcosa della grande tradizione iperborea e che la figura di Re Artù avesse lì le sue radici: egli ampliò l’etimologia di Artu/Arktos figlio di Uther Pendragon, il cui nome, a sua volta, ricorda la costellazione polare del Drago. Notiamo che la stella più importante Alpha Draconis fu per secoli la Stella Polare attorno al 3000 a.C.”.[iv]

Guénon, quando affronta la questione essenziale del “punto di congiunzione” tra la Tradizione primordiale o polare e quella atlantica, afferma di aver pensato al druidismo.

“E’ fuor di dubbio – scrive Guénon – che se si vuole indagare sulle condizioni nelle quali tale congiungimento [tra la Tradizione polare e quella atlantica, ndr] si operò, bisogna dare una particolare importanza alla tradizione celtica e a quella caldea”[v] e si pone l’interrogativo di chi al giorno d’oggi sappia quali furono queste tradizioni.

Per nostra fortuna a questo interrogativo, per quanto riguarda i Celti e i Druidi, oggi possiamo contare su una vasta messe di studi, seri e approfonditi, che ci riportano una buona parte di quella tradizione.

“Quanto al problema delle priorità – scrive ancora Guénon – bisognerebbe sapere innanzitutto a che epoca precisa risale il druidismo, ed è probabile che esso abbia origini molto più lontane, nel tempo, di quanto non si creda comunemente, tanto più che i Druidi erano custodi di una tradizione di cui una parte notevole era incontestabilmente di provenienza iperborea”. [vi]

In “Considerazioni sull’iniziazione”, René Guénon pone tre condizioni affinché tale iniziazione sia effettiva: “La «qualificazione», costituita da determinate possibilità inerenti la natura propria dell’individuo; la trasmissione, per il tramite del ricollegamento a un’organizzazione tradizionale, di un’influenza spirituale che conferisce all’essere l’«illuminazione» che gli permetterà di ordinare e sviluppare queste possibilità che egli porta in sé; il lavoro interiore mediante il quale, con l’aiuto di «ausili» o «supporti» esteriori eventuali e soprattutto durante i primi stadi, si realizzerà gradualmente facendo passare l’essere di scalino in scalino, attraverso i differenti gradi della gerarchia iniziatica, per condurlo alla meta finale della «liberazione» o «Identità Suprema».[vii]

Dall’insieme delle affermazioni di René Guénon si può dedurre che l’iniziazione druidica abbia tutte le caratteristiche del collegamento con una fonte tradizionale, che l’autore fa risalire addirittura alla Tradizione polare o primordiale.

Da: Silvano Danesi, Le radici scozzesi della Massoneria, Ilmiolibro

http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/storia-e-filosofia/187720/le-radici-scozzesi-della-massoneria/

[i] René Guénon, Forme tradizionali e cicli cosmici, Ed. Mediterranee

[ii] René Guénon, Il Re del Mondo, Adelphi

[iii] vedi René Guénon, Il Re del Mondo, Adelphi

[iv] Joscelyn Godwin, Il mito polare, Edizioni Mediterranee

[v] René Guénon, Forme tradizionali e cicli cosmici, Ed. Mediterranee

[vi] René Guénon, Forme tradizionali e cicli cosmici, Ed. Mediterranee

[vii]  In Pietro Nutrizio, René Guénon e l’Occidente, Lumi.

CELTICA, NELLA TRADIZIONE DEI BARDI

Celtica, la più importante manifestazione italiana di musica celtica, continua la tradizione del bardismo.

Hersart de la Villemarqué riporta che “secondo Ecateo [250 a.C.], citato da Diodoro Siculo, i bardi erano una casta di sacerdoti del sole, le cui funzioni erano ereditarie e consistevano nel cantare sulle arpe le azioni gloriose del dio, nel custodire il suo tempio e dare leggi ad una città vicina al tempio”. [1]

L’istituzione bardica, come scrive Hersart de la Villemarqué, “dopo l’abbandono della Gran Bretagna da parte delle legioni romane si riorganizza in un nuovo modo e tutti gli elementi non distrutti e compatibili con il cristianesimo contribuiscono a creare presso i Gaeli d’Irlanda e presso i Bretoni insulari delle associazioni bardiche unite dalle medesime leggi, medesimi doveri e medesimi diritti”. [2]

I bardi, in epoca medievale, rivendicano origini antichissime. “Come i bardi irlandesi, quelli della Bretagna – scrive Hersart de la Villemarqué – pretendevano di essere tanto vecchi quanto il mondo e datavano la loro storia dalla culla del genere umano: secondo loro ci furono tre dei loro avi chiamati Gwizon, Hu-Gadarn e Tiden, padri delle muse, che inventarono la poesia e la musica e gettarono le fondamenta del bardismo. Se Tiden era lo stesso che Teutates, l’inventore delle arti e se Hu-Gadarn o il Forte non era altri che Esus, il Marte dei Galli, l’istituzione bardica si attaccava per la tradizione delle sue origini alla mitologia celtica…”. [3]

L’inizio mitico del bardismo era anche legato a un capo bretone, Moelmud, che gli avrebbe dato la legge primitiva.

Il primo dovere del bardo era conservare tutte le cose d’elogio di individui e della razza e gli avvenimenti contemporanei. I bardi, inoltre, formavano la classe insegnante della nazione.

Nel X secolo i bardi si dividevano in tre classi: aspirante, semplice bardo, capo bardo.

Ogni tre anni aveva luogo all’aperto, su una montagna, un’assemblea solenne dei bardi del paese. Il vincitore dei giochi poetici riceveva un’arpa d’argento ed era cinto con una sciarpa blu; installato su un seggio d’oro era dichiarato capo bardo.

Tali feste, afferma Hersart de la Villemarqué, erano somiglianti alle feste dionisiache, dove si incoronava colui che aveva cantato il più bell’inno a Bacco.

Al bardo che aveva vinto i giochi poetici la regina donava un anello d’oro simbolo del suo rango e anello di una catena. “Così – scrive Hersart de la Villemarqué – si mantiene tra questi poeti una tradizione che è fondamentale constatare. Sostenendo la catena e formando i nodi, tutti i nuovi iniziati venivano ad aggiungere il loro anello d’oro a quello dei loro predecessori e la catena, di anno in anno, risaliva fino alle età più antiche”. [4]

Da: Silvano Danesi, Le radici scozzesi della Massoneria, Ilmiolibro.

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Celtica è la festa di arte, cultura e musica celtica più alta d’Europa.
Nasce nel 1997 dalle menti e dai cuori di un piccolo gruppo di appassionati, riunitisi poi col nome di Clan Mor Arth.

Il loro sogno era quello di far rivivere nella splendida cornice della Valle d’Aosta, l’atmosfera di un tempo antico e di un popolo quasi dimenticato: i Celti. Guidati da questa visione hanno cominciato a creare l’evento che ancora oggi riunisce alle pendici del Monte Bianco migliaia di partecipanti affezionati.

Celtica ha il suo cuore pulsante in Val Veny, più precisamente nel Bosco del Peuterey, ad oltre 1500 mt. d’altitudine, nella splendida cornice del Monte Bianco.
http://www.celtica.vda.it/

[1] Hersart de la Villemarqué, Les bardes bretones, Didier , Paris

[2] Hersart de la Villemarqué, Les bardes bretones, Didier , Paris

[3] Hersart de la Villemarqué, Les bardes bretones, Didier , Paris

[4] Hersart de la Villemarqué, Les bardes bretones, Didier , Paris

LA GIUSTIZIA DEI CELTI

La giustizia dei Celti

Il saggio storico giuridico di Matteo Passeri, illustre avvocato e, a pieno titolo, Brithen o Brehon, ossia giurista di professione, costituisce un quadro sinottico del diritto gaelico irlandese, con puntuali riferimenti alle fonti e alla bibliografia e significative indicazioni di ricerca.

Il testo, dunque, si pone come un’utile guida introduttiva al diritto celtico e a studi successivi. E non è poco, data la carenza, in Italia, di studi sul diritto gaelico; ma il saggio di Matteo Passeri non si limita ad essere una guida e uno stimolo ad affrontare una pagina della storia del diritto europeo di eccezionale importanza. Il saggio di Matteo Passeri è anche il recupero, fatto con lo spirito di un Brithen, di un “modello alternativo”, basato, come scrive l’autore, sulla “responsabilità personale”, sul “merito, sugli “ideali di libertà, solidarietà e giustizia”.

Un modello alternativo, aggiungo, che, collocato storicamente e opportunamente visitato, offre elementi di significativa modernità, che andrebbero tenuti in grande considerazione dalla cultura giuridica italiana ed europea. Di grande interesse ed attualità, ad esempio, le regole riguardanti i giudici, implicanti che ogni giudice sia responsabile dei propri errori, pagandone le conseguenze.

Il testo rende conto, sinteticamente, ma con grande chiarezza, della struttura sociale gaelica irlandese e delle norme che la regolavano e che davano ad ogni uomo la possibilità di elevarsi personalmente e socialmente: “un uomo è migliore della sua nascita”. Un concetto che rende comprensibile quello, centrale, nel contesto del corpo normativo, di “prezzo dell’onore”.

Ogni uomo libero aveva un “prezzo d’onore”, conseguenza del suo status sociale (ricchezza, carica ricoperta, abilità intellettuale e manuale). Il “prezzo dell’onore” stabiliva il risarcimento delle offese arrecate, ma anche il limite delle obbligazioni assumibili.

Da solo, il concetto di “prezzo dell’onore” avrebbe ingessato la società in rigidi ruoli, ma accompagnato a quello per cui “un uomo è migliore della sua nascita”, rappresentava uno stimolo al merito e alla responsabilità personale. Un uomo era “migliore della sua nascita” in quanto poteva aumentare il proprio “prezzo dell’onore”, ossia il suo status, aumentando il proprio patrimonio economico, intellettuale (nuove arti e tecniche) o manuale.

Rimane da dire, lasciando al lettore il piacere di appropriarsi delle regole di un mondo solo apparentemente lontano, che la presenza celtica in Italia è stata significativa. Al primo insediamento di Golasecca, risalente all’Età del Ferro, sono succedute le presenze del IV secolo a. C. (Tauri, Insubri, Cenomani, Boi, Senoni). Su queste presenze, che hanno avuto scambi con il mondo retico, con la civlità etrusca e con quella romana, gli studi sono pochissimi e frammentari.

E’ auspicabile che il lavoro svolto da Matteo Passeri sia prodromico a  studi riguardanti al civiltà celtica italiana.

Va, infine, detto che il lavoro di Matteo Passeri si inscrive nell’impegno culturale dell’Accademia bardica e druidica italiana “Oltre la Nona Onda”, della quale Matteo è attivo e qualificato membro.

Silvano Danesi

IL VISCHIO E LA QUERCIA

Il vischio e la quercia

“Il Vischio e la quercia”, il cui autore è Riccardo Taraglio, è una guida completa, approfondita, assolutamente esaustiva alla spiritualità dei Celti e dei Druidi.

Una lettura assolutamente indispensabile per quanti vogliano approfondire la conoscenza del mondo celtico e della spiritualità druidica.

Il libro, oltre a far conoscere la storia, i costumi e l’antica tradizione spirituale europea, si propone di mostrare un sistema di valori etici profondi che vanno recuperati e utilizzati per sanare le ferite di questo nostro mondo sofferente, interiore ed esteriore, prima che sia troppo tardi.

OGAM, L’ALFABETO DEGLI ALBERI

OGAM l’Alfabeto Celtico degli Alberi
OGAM L'ALFABETO CELTICO DEGLI ALBERI - VOL II°-federico gasparotti

Cosa ci insegnano gli alberi? Come entrare in contatto con la loro energia? Come comprendere la loro simbologia? Come riesumare gli antichi insegnamenti druidici? Questo saggio costituisce il secondo volume di una trilogia dedicata all’Ogam. Vengono analizzati, sotto vari aspetti, i primi dieci alberi dell’alfabeto Ogam, vale a dire Betulla, Sorbo, Ontano, Salice, Frassino, Biancospino, Quercia, Agrifoglio, Nocciolo, Melo. Il lettore, per ciascun albero, viene portato ad approfondire il relativo simbolismo naturale, i riferimenti nella mitologia celtica, le credenze popolari, gli usi pratici tradizionali, le proprietà curative, alcune ricette di liquori e decotti, l’analisi del messaggio divinatorio, il riassunto sull’insegnamento che ci arriva dell’albero, il metodo con cui approcciarsi al contatto fisico con la pianta, ed infine alcuni suggerimenti per compiere semplici rituali (personali, calendariali e di gruppo.